Negli ultimi anni vi è stata un’incredibile evoluzione che ha portato a sensibilizzare sempre più sulla tematica della violenza, sia fisica che psicologica, nonché nei riguardi delle molestie a sfondo sessuale. Nonostante ciò sono sempre molte le vittime -circa otto su dieci- che rimangono nel silenzio e nell’isolamento; non solo non denunciano alle forze dell’ordine, ma non chiedono aiuto e rimangono bloccate in una trama di inenarrabile malessere.
Dietro questo muro di silenzio, cosa spinge a non denunciare ciò che è stato subito, spesso per anni?
Alcuni studi evidenziano che la denuncia, quando il soggetto è uno sconosciuto, viene fatta in maniera più sistematica, soprattutto in presenza di armi e danni fisici, sia da parte di uomini che di donne che la subiscono. Sì, avete letto bene, anche gli uomini possono essere delle vittime. Quando invece la violenza è perpetrata da parte di un familiare o un conoscente, è molto più difficoltoso denunciare, in quanto il vissuto emotivo ed affettivo porta confusione nel dare un’etichetta a ciò che è stato subito: il clima di non chiarezza contribuisce al non potervi mettere fine.

Il vissuto della vittima
Inizialmente la vittima viene assalita da una sensazione di estraneità all’accaduto, come se ciò che ha subito fosse impossibile da inglobare con la realtà della sua vita: << non è possibile che sia accaduto a me: è davvero successo?>>. Passano le ore ed i giorni, l’umiliazione inizia a camminare di pari passo con la vergogna, “il senso di sporco” non cessa, anzi, cede il passo all’allagamento emotivo di rabbia, impotenza ed angoscia. Il drastico cambiamento al quale la persona va incontro non passa inosservato, ma essa rimane come bloccata, paralizzata, piombando in una forte depressione. La vergogna, la paura di non essere creduti, la difficoltà a realizzare ciò che è stato subito, porta a non esternare il profondo danno che invalida il suo vissuto. Molte vittime non connotano la violenza con la giusta parola, sono portate a rinnegare che tale atto sia effettivamente avvenuto: è molto più facile dire che sia stato “sesso non voluto”, una sorta di pillola amara, ma più facile da digerire, piuttosto che pronunciare la parola “stupro”. Tuttavia, benché le vittime siano restie a parlarne, da uno studio emerge che il 70 % si confida con una persona “vicina”, ben l’80% con un amico: allora cosa le blocca per effettuare il passo ulteriore che porta alla denuncia? Se siamo le persone scelte come custodi di questo feroce atto, non mettere in discussione ciò che la persona ci sta confidando, negoziando sulla sua veridicità oppure cercando minuziosamente di ripercorrere gli eventi per capire: c’è solo da star vicini ed ascoltare con estrema delicatezza, consigliare di rivolgersi ai centri anti violenza, ad uno psicologo, dando credito a ciò che la persona porta ed ha vissuto dolorosamente sulla sua pelle. Di fronte alla paura di rivolgersi alle forze dell’ordine, alla sfiducia nel sistema di giustizia, rassicurarle che questo sarà un percorso che non faranno da sole, perché quello che hanno subito è un male atroce, ma che si deve raccontare per poterlo sconfiggere.

Palazzo Cipolla, Roma, 31 luglio 2016
Le emozioni che la persona prova: senso di colpa, paura, vergogna, ma non solo.
Il vissuto emotivo che attanaglia è quello del senso di colpa: finché la persona non esce dal condizionamento e dalla paura, resta in preda al dubbio. Liberarsene è un lungo processo, può richiedere molto tempo, andando incontro a innumerevoli ricadute, anche per anni. Per evitare l’angoscia legata ai ricordi della violenza subita, le vittime cercano di controllare le proprie emozioni, apparendo fredde e distaccate, ma ciò è semplicemente un meccanismo di difesa all’estremo dolore, come il ricorrere all’abuso di alcol e droghe, fino al tentato suicidio in alcuni casi. Necessitano di tempo e pazienza, da parte di loro stesse e di chi le sta vicino in questo lungo percorso. A volte danno l’impressione di aggrapparsi ostinatamente al dolore, quasi di non volerne uscire: in realtà vivono l’intrusione di un ricordo che si infila nei loro pensieri soprattutto quando sono tristi e depresse, in momenti di stress e ansia. Spesso sono persone governate da sentimenti di rabbia, odio e mancanza di fiducia verso se stessi, consapevoli di essere stati condizionati in molte relazioni personali e professionali da questa “bestia nera”. In realtà sono persone dotate di una capacità che non tutti hanno, la resilienza, che permette di auto ripararsi dopo il danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita ed il proprio futuro.
Dott.ssa Francesca D’Amico
Psicologa- Psicoterapeuta